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In attesa, sotto uno scroscio di perle

enattendant

Il modo in cui una bambina tiene in mano una pigna e ti passa vicino, senza guardarti;

nel palmo della mano
come se fosse polvere
il sorriso sul viso
la sfida al caos della città

l’esattezza con cui torna in mente una panchina di Parigi per noi che insieme nella capitale della Francia non ci siamo mai stati;

il click d’un orecchino giallo perduto
sussurra dall’erba inascoltato
coperto dal frastuono delle parole
e poi dai nostri passi che vanno via

il mood che ci prende quando ci si dice che un giorno si ripenserà a quel momento che sarà lontano con una specie di nostalgia mista a sollievo, e allora gli anni cominciano a piovere addosso tutti insieme come le perle di una collana che si sfila e senti che non c’è più davanti un tempo lungo abbastanza a contenere tanta attesa e tanta ansia e tanta nostalgia mista a sollievo e cerchi se c’è un modo di passare a lei – a lei che ora lì attendi – passare a lei, sì, il testimone del ricordo che stai accumulando tu, lì, ora, sopra quella panchina ad aspettarla e a leggere un libro che parla d’amore, ma un amore passato che si svela finito mentre si racconta e tu te la prendi con l’autore che ti ha rubato la sorpresa di uno sperabile happy end.

la voglia di abbracciarti da sola
una pacca sulla spalla
per fissarti un appuntamento
ed esistere ancora, domani

I tre uomini che si seggono accanto a te – e gli fai spazio perché uno vorrebbe starsene in piedi per non disturbarti; e quando rimetti il libro in borsa e ti alzi, ti chiedono/affermano “signora, l’abbiamo disturbata?!” e tu “no, no, s’è fatta l’ora che me ne devo andare”. Senti la tua voce come se ti stesse svelando qualcosa: la direzione delle perle che rotolano, la cosa che ha spezzato il filo, la curva della tua schiena sotto quella delicata gragnola… Ma è solo che volevi essere dolce e rassicurante. E ora scrivi dentro l’androne affascinata all’improvviso dall’idea di cosa cambi se si cambia un pronome. Lei ha ipotizzato “distanza”, la distanza necessaria a guardarsi da fuori e non allarmarsi nel sentire parlare di sé.
E’ così che scrivi ora? Costruendo una distanza che si metta tra te e te e faccia di te l’anonima protagonista di un racconto nel quale puoi guardare le perle da fuori e schivarle, concederti uno stato d’animo nel quale proiettare un futuro abbastanza lungo e capiente da riuscire ad infilarci tutto il fiato necessario a dire che verrà un giorno in cui ti ricorderai questa attesa, quella panchina, questo androne e questa speranza di nostalgia.
Perché non c’è nostalgia senza passato, se non sarà passato questo momento.

i tre uomini anziani sono di lì
e forse si chiedono di striscio
da dove veniva, dove andava
quella donna con un libro in mano
sulla panchina più vicina alla spazzatura.