Tag

, ,

Treni

foto di ritamazzocco

– Ma è sicuro?
– Signora, non insista. Mi pare di averle già risposto in maniera abbastanza esauriente.
– Ma controlli, La prego… No, aspetti, non se la prenda, abbia pazienza. Controlli solo un’altra volta, vuole?
– Il rapido è partito alle 12 e 55. Binario 7.
– Ma non è possibile…
– Le sto dicendo…
– Guardi, io, io Le chiedo scusa. Io, sì, io Le chiedo umilmente scusa, ma deve esserci un disguido…
– Nessun disguido, signora. E adesso devo pregarLa di accomodarsi fuori.
– Non potrebbe lasciarmi qui? Non potrei aspettare qui che…
– Signora, non mi costringa a diventare scortese. Quando avranno finito di smontare le traversine io vorrei essere già a casa da un pezzo, non vedo perché dovrei lasciare che…
– Ma io posso fare anche da sola. Guardi… guardi ho dei soldi. Erano per il biglietto. Li prenda; mi lasci restare, La prego.
– Sta cercando di mettermi in difficoltà, vero? Qual è il suo programma? Cosa si è messa in testa?
– Io? Io, io niente, Le assicuro. Non potevo sapere che sarebbe accaduto proprio questa notte. Non immaginavo che sarebbe accaduto davvero…
– E’ stato fornito largo preavviso; non vedo perché si meravigli. Non capisco che cosa sia venuta a fare qui. Non ha nessun senso insistere, signora. Vuole davvero costringermi ad usare la forza?
– No! Oh, no, no. Io, io La capisco. Ma è che, è che pensavo di avere ancora tempo. Non tanto, magari, ma un po’…
– Non c’è nessuno in città che non sia stato avvisato. I lavori di smantellamento dureranno tutta la notte e domattina sulla spianata cominceranno la colata di cemento… Bisogna far piazza pulita delle cose che non servono più.
– E … e tutte quelle cose che sono rimaste sotto? Le cose scappate di mano, correndo? Gli oggetti smarriti, i biglietti che qualcuno ha dimenticato di obliterare e si sono appiccicati alle foglie e ai capelli in batuffoli di polvere sul viale che porta ai binari?…
– Ma di cosa blatera! La prego, la smetta.
– E’, è sicuro che sia proprio questa, l’ultima notte?
– Diosanto! L’avrò ripetuto dieci volte!…
– Va bene, va bene. Non se la prenda. Ecco facciamo così. Lei prende questi soldi. Io… a me non servono più.
– Signora…
– Mi ascolti. Li prende e se ne va via, come aveva previsto. Nessuno farà caso a me. Io voglio solo dare un’occhiata, salire sul vagone di coda, passare un dito sull’interruttore, vedere se s’accende ancora una luce.
– E’ impossibile.
– Mi lasci tentare. Ora, prima che lo rimorchino via.
– Non troverà niente, lo sa anche Lei.
– La prego. Non ho più niente da perdere. Pensavo di avere ancora tanto tempo. Pensavo che non sarebbe mai venuta questa notte. E che senso crede possa avere da domani la mia vita, adesso? Eh? Ma riesce a capirmi?!
– Non avrebbe dovuto aspettare.
– C’è sempre un altro treno…
– No, signora, non c’è.
– Mi lasci tentare!
– Guardi là fuori. Cosa vede?
– Notte.
– Già. E dentro la notte?
– Polvere.
– Fumo, signora, la scia del rapido partito dal binario 7. L’ultimo treno. Adesso, benedetta donna, cosa vuole da me? Cos’è che vuole da me?
– Mi lasci salire su quel vagone inclinato su un fianco là in fondo. Devo, io devo cercare…

– Le ha perdute, signora. Lo sa meglio di me.
– Mi lasci passare. La prego, mi lasci tentare.

Dlin-dlon. Si avvisano i signori viaggiatori che tra pochi minuti raggiungeremo la stazione di Napoli Centrale. Raccomandiamo di non lasciare a bordo oggetti personali.
– Mi fa passare, signora? Signora?… Ma cos’ha?…Signora, risponda, signora. Aiuto, qualcuno mi aiuti! Questa donna ha perso i sensi. Io devo scendere. Scendo alla prossima, io.
A metà strada tra la stazione e l’ultimo riccio di binario divelto cammino strusciando lo strascico del mio abito lungo sul nero della notte.
Ho tolto i tacchi, perché non mi si impiglino tre le pietre smosse e le schegge di legno marcio.

– Signora? Signora mi sente?
Appoggiando la mano alla paratia d’acciaio del cielo colato di traverso sui campi ho frugato con la sinistra tra le zolle smosse, ma non ho trovato che punte di ferro arrugginite e frammenti di vetro.
– Fate largo, lasciatela respirare.
Non mi sono girata quando ho cominciato a sentire forte il fischio alle mie spalle. Non c’è più nessun treno nella stazione fantasma che percorro strisciando sui ginocchi, i capelli appiccicati dal sudore sugli occhi.
– C’è un medico a bordo?
Sulla pelle marrone del sedile di prima classe una ferita profonda mostra un’anima di tela sporca.
Accarezzo con gli occhi chiusi le ragnatele delle retine portaoggetti sventrate. La porta è scivolata sul binario senza opporre resistenza. C’è fumo ma io non respiro. Appena partiremo mi muoverò con cautela e frugherò in ogni angolo.

– A me pare andata. E’ possibile che non si trovi un cazzo di medico a bordo?
I treni, i treni sono stracarichi di passato.
I treni sono intrisi di passato. Che inzuppa i sedili che vanno e sembrano fermi. I treni sono popolati di passato. I treni sono come la vita. Zuppi di passato, ché da qualche parte deve pur rifugiarsi, il passato.

L’uomo col cappello a tese larghe sta seduto accanto tranquillo. Non l’avevo visto. Poi d’un tratto solleva un po’ la testa e mi fissa con due occhi pozzo. Cado. Rileggo sequenze che credevo scordate per sempre. Mi assediano. Ora mi assediano. Nel corridoio stanno spalle al muro, silenziosi e presenti, la gamba un po’ flessa, la pianta del piede appoggiata alla parete. Mi aspettano. Aspettano che io passi. Non fanno altro. Aspettano che passi e li sfiori, mi ci strusci contro.
Stanno appollaiati in alto, tra le sacche e la valigia del vicino. Sotto i giornali, dentro i giornali. Frusciano con la carta.
I treni. I treni. I treni. I treni sono zeppi di passato. Evasi dagli uffici oggetti smarriti mi aspettano. E quando scendono restano là. Si infilano nelle tasche queste ore inconsistenti, questo presente liquido. Si pisciano sotto, macchiando il pavimento di occasioni sbavate. Acide, dolci o amare. Tremano, agitati da questo rigurgito di flusso costante. I treni sono terre di nessuno. E non hanno lingue, se non quelle mozzate dai baci d’addio.

– E’ possibile che non ci sia nessuno che sappia chi è? Nessuno ha visto dove è salita?
Questa notte hanno avvolto i percorsi usuali come tappeti rossi stinti dai matrimoni.
L’uomo mi ha lasciata entrare. Ma l’ho pagato bene. Avevo risparmiato tutti i miei biglietti.
Ho frugato a lungo, ma non li ho trovati. Non ho idea di dove mi siano caduti. Quando scenderanno tutti, quando spegneranno le luci, quando dileguerà questo rollio informe come i miei ricordi, lascerò che mi portino via. Che mi accartoccino nell’ultima lamiera. Una lettera partita in ritardo. Un oblio che ho scordato di obliterare. E adesso, per favore, fate silenzio.